sabato 29 novembre 2008

DIRITTO ALLO STUDIO - VALORIZZAZIONE MERITO - QUALITA' SISTEMA UNIVERSITARIOt

Conversione in legge del decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180, recante disposizioni urgenti per il diritto allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema universitario e della ricerca. 

Conversione in legge del decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180, recante disposizioni urgenti per il diritto allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema universitario e della ricerca. 

Relazione del Sen. VALDITARA

Credo che una puntualizzazione importante debba essere fatta in occasione della trattazione di questo decreto-legge che contiene misure particolarmente importanti per lo sviluppo ed il futuro dell'università italiana. Credo, cioè, che tutta l'Aula debba essere interessata in modo bipartisan dalla consapevolezza che l'università italiana non è il centro del malaffare. 

L'università italiana, nel bene e nel male, non si distingue da qualsiasi altro settore della vita pubblica italiana. Nelle nostre università, anzi, la qualità dei ricercatori è mediamente superiore rispetto al resto dei Paesi OCSE. Non lo dico io, lo dicono prestigiose riviste scientifiche internazionali, lo dice un'indagine del Ministero dell'educazione nazionale francese, pubblicata su "Le Monde" nel febbraio 2007: per citazioni su riviste scientifiche internazionali, i ricercatori italiani vengono prima dei ricercatori francesi e tedeschi. 

Detto questo, sono innegabili tuttavia alcune criticità. Signor Presidente, chiederei un po' di silenzio per continuare l'intervento. 

Detto questo, sono innegabili alcune criticità: una cattiva gestione delle risorse; sprechi di risorse, peraltro modeste; poca trasparenza; poca competizione; il problema della cosiddetta piramide rovesciata (40.000 professori a fronte di 20.000 ricercatori); un'ingessatura burocratica opprimente; la tendenza a trasformare le università italiane in superlicei dove si fa soprattutto didattica e pochissima ricerca e, devo aggiungere, un eccesso di spesa per un numero sempre più crescente di personale a fronte di una spesa del tutto inadeguata per le infrastrutture della ricerca. Ma soprattutto manca drammaticamente la capacità di trasferire tecnologia alle imprese e di generare promozione sociale. 

Lanostra università - e il nostro sistema di istruzione in generale - è agli ultimi posti tra i Paesi più sviluppati per capacità di far sì che un ragazzo povero che entra nel sistema di istruzione possa uscire con le competenze per accedere alla classe media. È un sistema che configura una cristallizzazione sociale, un sistema che per molti aspetti è rimasto indietro negli anni. Molte delle riforme che oggi ci apprestiamo a varare sono già state affrontate dai principali Paesi europei dalla fine degli anni '90. In Italia, invece, sono state semplicemente abbozzate, in altri casi non sono mai state proposte. 

Voglio anche aggiungere che alcune delle criticità che ho appena esposto sono legate innanzitutto ad un'importante legge (la n. 341 del 1990, la cosiddetta legge Ruberti), che ebbe un merito significativo in quanto introdusse il principio fondamentale dell'autonomia, cui però non coniugò il principio della responsabilità. Poi voglio anche aggiungere la legge 28 febbraio 1998, n. 31, sui concorsi, che è stata, a mio avviso in modo sbagliato, rieditata nel febbraio di quest'anno dal precedente Governo, che con i due idonei, il concorso locale e il membro interno certamente non favorisce quella richiesta di trasparenza che viene dalla società italiana. Voglio infine aggiungere che queste pratiche degenerative, sotto gli occhi di tutti, sono state, soprattutto la moltiplicazione irrazionale dei corsi di laurea, un portato del cosiddetto 3 più 2 che probabilmente andava pensato e andrebbe ripensato in termini leggermente diversi. 

La politica però non è estranea a tutto questo. Quando abbiamo 337 sedi universitarie con una proliferazione di sedi distaccate in ogni piccolo centro (si ricordava che a Narni dove non c'è neanche un liceo ci sono forse 8 corsi di laurea); quando ci sono 5.500 corsi di laurea su materie che hanno una scarsa richiesta da parte del mondo della produzione e anche da parte degli stessi studenti (ben 150 corsi di laurea contano meno di 15 studenti), in tutto questo non è estranea la politica, che spesso e volentieri negli ultimi 15 anni ha difeso, sponsorizzato, sostenuto e talvolta persino imposto l'apertura di cattedrali nel deserto. Occorre dunque procedere ad un risanamento e ad un rilancio del settore. Ebbi a dire che il 2009 dovrà essere dedicato al risanamento e alle riforme strutturali importanti: dal 2010 occorrerà ragionare in termini di rilancio anche con riferimento alle risorse. 

Voglio anche sottolineare che è mancata, a partire dall'inizio degli anni Novanta, una grande visione culturale. Negli ultimi 15-20 anni molte delle riforme sono state troppo spesso effettuate sotto la spinta dell'emergenza, senza un quadro strategico ed è giusto invece avere ben presenti alcuni forti criteri di riferimento. Risanamento e rilancio devono avvenire attraverso l'introduzione dei principi di responsabilità e trasparenza, nonché del principio di merito, all'interno di un sistema fondato sulla competizione tra atenei che abbia due grandi finalità: la promozione sociale degli studenti attraverso una formazione adeguata e la contribuzione allo sviluppo di una innovazione del sistema produttivo. Da qui è partito il Governo, da qui siamo partiti con questo decreto-legge. 

E voglio entrare subito nel vivo della trattazione. Quando abbiamo detto «applichiamo finalmente una legge dello Stato», la cosiddetta legge Berlinguer del 1997, che prevedeva l'obbligo di non superare il 90 per cento nel rapporto tra spese per il personale e fondo di finanziamento ordinario, abbiamo fatto cosa attesa dalla parte sana del mondo universitario e da essa richiesta, perché in nessun Paese al mondo si spende quasi esclusivamente per stipendi e quasi nulla per ricerca e infrastrutture di ricerca. Voglio anche aggiungere che questo 90 per cento è «truccato», perché se avessimo dovuto computare gli scatti di anzianità e quel terzo legato all'attività di assistenza delle facoltà mediche, probabilmente la stragrande maggioranza delle università italiane avrebbe un rapporto pari al 100 per cento o molto simile. 

Bisogna capire che cosa contiene questo fondo di finanziamento: esso è il grande fondo per l'università, quello con cui si finanziano l'acquisto dei libri per le biblioteche, i progetti di ricerca, la luce e il riscaldamento. Capirete allora che se le risorse vengono impiegate soltanto per pagare stipendi, l'università è costretta ad indebitarsi o a chiedere soldi ai privati o ad aumentare le tasse universitarie. È quindi evidente che chi fosse contrario ad una misura di questo tipo si assumerebbe la responsabilità di dire «aumentiamo le tasse», «privatizziamo l'università italiana», «indebitiamo l'università italiana». 

Il provvedimento in esame contiene anche una marcata apertura ai giovani. Innanzitutto, voglio ricordare un punto che nel dibattito politico è quasi scomparso, ma che credo sia particolarmente importante: come dicemmo già dall'inizio della legislatura, occorreva sbloccare le assunzioni per 2.800 ricercatori che sono in attesa di entrare nel mondo della ricerca. Un altro segnale forte contenuto nel decreto-legge è che il 60 per cento del 50 per cento derivante dal turnover, che potrà essere riutilizzato, è destinato all'assunzione di ricercatori, cioè ad assumere giovani, e quindi a rovesciare, cioè a rimettere secondo logica, la famosa piramide. Si tratta di un'operazione che credo rappresenti un obbligo morale cui anche l'attuale opposizione nella passata legislatura aveva cercato, senza riuscirci, di adempiere. Il tutto si coniuga, tra l'altro, con il famoso emendamento presentato a favore dei giovani dottorandi e volto ad aumentare l'entità delle loro borse di studio. 

Vi è quindi un'attenzione ai giovani che conferma l'interesse di questo Governo all'apertura delle università italiane: le borse di studio, le residenze universitarie. Proprio la necessità di promozione sociale, ossia di aprire l'università anche alle fasce sociali svantaggiate, richiede che chi è di condizioni modeste non debba andare a lavorare per potersi mantenere nell'università. Voglio sottolineare che lo stanziamento previsto dal Governo in questo decreto è doppio rispetto a quanto non sia stato stanziato negli ultimi anni, così come per quanto riguarda le residenze universitarie è ben pari al triplo rispetto a quanto stanziato nelle finanziarie delle ultime legislature. 

Se vogliamo che il sistema funzioni, la valutazione dei risultati è strategica. Si fa in Germania, in Spagna, in Inghilterra ed in Francia. Siamo l'ultimo Paese che applica una misura di questo tipo. Le risorse devono andare soprattutto a quelle università che per qualità della ricerca e della didattica sviluppino risultati positivi. Nella scorsa legislatura avevamo già presentato, con numerosi colleghi che siedono in Parlamento, proposte emendative in questa direzione. Sono altrettanto compiaciuto che la Commissione abbia approvato oggi l'introduzione dell'anagrafe delle pubblicazioni scientifiche che consente di certificare con grande chiarezza le pubblicazioni di professori e ricercatori, di avere un quadro chiaro. Sono particolarmente soddisfatto per il fatto che si introduce una autentica rivoluzione e che d'ora in poi gli scatti automatici di stipendio non verranno più liquidati automaticamente, ma saranno condizionati alla pubblicazione scientifica nell'ultimo biennio.

Sono anche soddisfatto perché nelle Commissioni giudicatrici entrerà soltanto chi negli ultimi anni ha effettuato pubblicazioni scientifiche. È assurdo che un professore possa giudicare altri senza aver mai pubblicato nulla. Credo che questa sia una iniziativa fondamentale per dare concretezza e serietà. 

Sono inoltre particolarmente soddisfatto che le università ed i rettori, in sede di bilancio consuntivo, abbiano l'obbligo di dire con grande trasparenza che cosa hanno fatto con i soldi pubblici, mostrando i risultati dell'attività di ricerca, di formazione, di trasferimento tecnologico, con emendamenti presentati dal relatore in Commissione, condivisi dal Capogruppo della maggioranza, passati questa mattina con mio personale compiacimento. 

Vi è poi la norma sul rientro dei cervelli, anch'essa largamente attesa, e la norma sui concorsi. Personalmente ho una predilezione per la legge Moratti che, depurata di quelle famose quote, è per me ottima, ma mi rendo conto che il Governo ha ritenuto che essa avrebbe comportato una dilazione dei termini concorsuali, inaccettabile forse per un sistema bloccato da quasi tre anni. 

Si introduce quindi il meccanismo del sorteggio. Non credo nell'effetto taumaturgico del sorteggio. Credo, invece, che il sorteggio abbinato all'elezione possa essere un segno di moralizzazione efficace. È un segnale e, in quanto tale, senz'altro positivo. Ovviamente la vera riforma dovrà essere fatta in un confronto ampio con il mondo universitario, con l'opposizione; a mio avviso, una riforma dovrà necessariamente passare da una lista di idonei a numero chiuso, entro cui sviluppare una chiamata diretta. 

Voglio anche aggiungere, elemento mai sottolineato, che è necessario ridurre i settori scientifico-disciplinari perché è evidente che con quattro o cinque professori la trasparenza viene a mancare. Certamente, de iure condendo, che è fondamentale la riforma della governance, l'applicazione di questo sistema di valutazione, il rilancio del dottorato ed anche - consentitemi di aggiungere - i contratti individuali sul modello tedesco, anche qui sviluppando quello che oggi già facciamo in questo decreto, pagando di più i professori che lo meritano. 

Voglio evidenziare un ultimo aspetto: il mondo universitario nelle audizioni si è espresso in modo favorevole sul decreto. Voglio ricordare le parole del presidente della CRUI Decleva, del presidente Lenzi, le aperture importanti del presidente Morcellini, a nome di tutti i presidi delle università italiane. È stato sottolineato il segnale di svolta e mi compiace dire che per la prima volta un settore interessato ad una riforma anche pesante, che comporterà dei costi per qualcuno, dà il suo sostanziale appoggio. Credo che sia un segnale molto importante. Mi auguro che anche altri settori della vita pubblica italiana sappiano fare altrettanto, come sta facendo la parte più consapevole e rappresentativa dell'università italiana che sta collaborando ad un rilancio del nostro sistema e a far sì che finalmente anche il nostro mondo universitario possa essere al pari degli altri sistemi più avanzati e che possa contribuire a creare sviluppo, benessere e crescita complessiva per il nostro Paese.


mercoledì 26 novembre 2008

SILFAB - PRONTI A PRODURRE

Carissimi,

Un collaboratore mi ha inviato alcune notizie su Silfab . Come potete vedere nell' allegato è già tutto fatto!!!: Lo stabilimeto è pronto a produrre , sic! Notate l'area di proprietà Silfab, si estende anche in territorio di Settimo Vittone: Evidentemente hanno già acquistato anche la Lino spa dell'Ing. Caffa , nonchè tutta la Novelis: Lo stabilimento poi è anche bello a vedersi, ben architettato, a zero impatto ambientale: Peccato di tutto questo non esista nemmeno un mattone, ma neppure le autorizzazioni per realizzarlo:

Non sarà una bufala? Speriamo di no, anche se in Canavese ormai siamo abituati agli.......... Incursori!

Fausto francisca

...
Prevista un’ulteriore tornata di raccolta di capitali attraverso l’apertura a nuovi investitori: è questo il prossimo imminente passo previsto da Silfab SpA per implementare il suo progetto di creazione di un polo produttivo italiano di polysilicon di grado solare per il mercato fotovoltaico internazionale. In occasione del Convegno sul fotovoltaico a cura di Kyoto Club tenutosi ieri a Rimini all’interno di Key Energy/Ecomondo (vedi presentazione allegata del Dr. Patti), la società padovana che produrrà a Borgofranco d’Ivrea (Torino) 2500 tonnellate di polysilicon già a partire dai primi mesi del 2010, è stato presentato l’avanzamento del progetto confermandone i tempi previsti. Il progetto, che attualmente può contare su un capitale (equity) di 84 milioni di euro, prevede l’apertura all’ingresso di nuovi investitori. La prima iniezione di fiducia era giunta in luglio da Pan Asia Solar Ltd., società privata di investimenti con sedi a New York, Hong Kong, Londra e attiva nel settore delle energie rinnovabili, con un team che vanta una specifica esperienza di oltre 25 anni nel solare fotovoltaico. Attraverso la costituzione di GridCo Srl, Franco Traverso, fondatore e presidente di Silfab, e Pan Asia Solar controllano la maggioranza del capitale, al quale contribuisce con 30 milioni di euro anche Sino-American Silicon Product Inc. (SAS), produttore taiwanese di wafer di silicio. La scelta da parte di società internazionali di investire su un progetto italiano per la produzione sostenibile ed environmentally-friendly di polysilicon di grado solare, risulta essere di primaria importanza per l’intero settore del fotovoltaico che vede in Silfab l’opportunità di completare la filiera italiana a partire dalla produzione della materia prima necessaria per la realizzazione delle celle fotovoltaiche.
Che le aspettative siano importanti lo esprime soprattutto il mercato, come dimostra il portafoglio ordini già acquisito da Silfab, con un budget che supera il miliardo di euro per i prossimi sei anni. Tra questi c’è l’accordo “Take or Pay” siglato con la cinese Hyundai Heavy Industries Co. Ltd. per la fornitura di wafer in silicio multi-cristallino high quality per un ammontare di 270 milioni di euro in 6 anni ed inoltre quelli della cinese Trina Solar Ltd e della stessa SAS. L’attesa è quindi per l’avvio della produzione a Borgofranco d’Ivrea con 2500 tonnellate annue di polysilicon nella prima fase (inizio 2010), pari a un fatturato di 150 milioni di euro, e con previsione di raddoppio a 5000 tonnellate entro l’anno successivo. I partner tecnologici sono tutti intensamente impegnati nel progetto, a partire da Rivoira, società del gruppo statunitense Praxair Inc., e da Maire Tecnimont nonché dalla statunitense CDI Corporation Ltd.. Il coinvolgimento nel progetto Silfab riguarda rispettivamente lo sviluppo dell’ingegneria di base e l’assistenza alle procedure autorizzative, la fornitura dei gas e dei relativi servizi ed infine l’integrazione tecnologica e i servizi specifici di ingegneria.

La prima tranche produttiva corrisponderà ad una potenza complessiva di 600 MW di celle fotovoltaiche che, grazie all’elevato grado di purezza (9N-) del polysilicon prodotto da Silfab saranno in grado di registrare dati di efficienza decisamente superiori a quelli attuali. 20 novembre 2008


giovedì 20 novembre 2008

IL PACCHETTO CLIMA EU

IL PACCHETTO CLIMA-ENERGIA

Il 23 gennaio 2008 la Commissione

europea ha adottato un pacchetto di proposte volto a dare attuazione agli
impegni assunti dal Consiglio europeo in materia di lotta ai cambiamenti
climatici e di promozione delle energie rinnovabili. Le misure previste mirano
ad accrescere significativamente il ricorso alle fonti energetiche rinnovabili
e ad imporre ai governi europei obiettivi giuridicamente vincolanti.

Una profonda riforma del sistema

di scambio delle quote di emissione, imporrà un tetto massimo alle emissioni a
livello comunitario. Il pacchetto di proposte in esame intende, infatti,
consentire all’Unione europea di ridurre di almeno il 20 per cento le emissioni
di gas serra e di elevare al 20 per cento la quota di energie rinnovabili entro
il 2020, secondo quanto deciso dai capi di Stato e di governo europei in
occasione del Consiglio europeo del marzo 2007. La riduzione delle emissioni
dovrebbe essere elevata al 30 per cento entro il 2020 con la sigla di un nuovo
accordo internazionale sui cambiamenti climatici.



Il pacchetto clima-energia

comprende una serie di iniziative politiche strettamente interconnesse che di
seguito si illustrano e commentano.





La Proposta di modifica della
direttiva 2003/87/CE sul sistema comunitario di scambio delle quote di
emissione (ETS) (COM (08)16 def.) prevede che, a partire dal 2013, il sistema
ETS sia applicato a un numero maggiore di gas serra (attualmente lo scambio
delle quote riguarda solo l’anidride carbonica) e riguarderà tutti gli impianti
industriali responsabili delle emissioni. Sulla base del vigente sistema di
scambio delle quote di emissioni fondato su un tetto massimo di emissioni e
sullo scambio delle quote (cap-and-trade), la Commissione propone di rafforzare
il mercato unico del carbonio a livello comunitario, che si estenderà a un
numero maggiore di gas serra e riguarderà tutti i grandi impianti industriali
responsabili delle emissioni. Le quote di emissione poste sul mercato saranno
ridotte, con cadenza annuale, in modo da permettere una riduzione delle
emissioni del 20 per cento nel 2020, rispetto ai livelli del 2005.





La Proposta di decisione del
Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla ripartizione degli sforzi da
intraprendere per adempiere all’impegno comunitario a ridurre unilateralmente
le emissioni di gas serra in settori non rientranti nel sistema comunitario di
scambio delle quote di emissione (COM (08) 17 def.) mira a quantificare il
contributo della riduzione di tali emissioni al fine di conseguire l’obiettivo
generale dell’Unione europea.



In settori non rientranti nel
sistema di scambio delle quote, come l’edilizia, i trasporti, l’agricoltura e i
rifiuti, l’Unione europea dovrà ridurre le emissioni del 10 per cento rispetto
ai livelli del 2005, entro il 2020. Per ciascuno Stato membro la Commissione
propone un obiettivo specifico di riduzione delle emissioni in parola da
conseguire entro il 2020 (quello assegnato all’Italia è del 13 per cento in
meno). Nel caso dei nuovi Stati membri gli obiettivi prevedono addirittura la
possibilità di un aumento delle emissioni. Tali variazioni oscillano tra un
meno 20 per cento e un più 20 per cento.





La Proposta di direttiva del
Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione delle energie rinnovabili
(COM (08) 19 def.) mira a conseguire sia gli obiettivi di riduzione delle
emissioni rientranti nel sistema ETS, sia gli obiettivi che in tale sistema non
rientrano.



Oggi la quota di energie
rinnovabili sul consumo energetico finale dell’Unione Europea, pari all’8,5 per
cento, rende necessario un aumento dell’11,5 per cento per raggiungere
l’obiettivo del 20 per cento previsto per il 2020.



A tal fine, la Commissione ha
fissato obiettivi giuridicamente vincolanti per ciascuno degli Stati membri.



La proposta di direttiva mira a
fissare un obiettivo generale obbligatorio del 20 per cento per la quota di
energia da fonti rinnovabili sul consumo energetico e un obiettivo minimo
obbligatorio del 10 per cento per la quota di biocarburanti nei trasporti che
ogni Stato membro dovrà conseguire, nonché obiettivi nazionali obbligatori per
il 2020, in linea con l'obiettivo generale dell'Unione europea del 20 per
cento.





La Proposta di direttiva del
Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla disciplina giuridica della
cattura e dello stoccaggio del carbonio (COM (08) 18 def.) è accompagnata da
una Comunicazione della Commissione dal titolo “Promuovere la dimostrazione in
tempi brevi della produzione sostenibile di energia da combustibili fossili”.



La proposta di direttiva mira a
definire norme armonizzate per lo stoccaggio in sicurezza di anidride carbonica
in formazioni geologiche e disciplina le diverse fasi di questa attività.



La Comunicazione della
Commissione illustra invece i vantaggi derivanti dalle tecnologie di cattura e
stoccaggio dell’anidride carbonica (CCS), delineando le strategie organizzative
e finanziarie finalizzate a superare gli ostacoli che si frappongono
all’utilizzo delle tecnologie CCS.





Infine, con la Comunicazione “Due
volte 20 per il 2020. L’opportunità del cambiamento climatico per l’Europa”, la
Commissione prefigura gli obiettivi in termini di emissioni da raggiungere
entro il 2050, attraverso l’aggiornamento del sistema di scambio delle
emissioni, la riduzione dei gas ad effetto serra al di fuori del sistema di
scambio di emissioni, l’incremento nell’impiego delle energie rinnovabili ed il
miglioramento dell'efficienza energetica.





Una serie di misure così
impegnative per gli Stati e per i loro sistemi produttivi devono basarsi su
valutazioni scientifiche certe e tener conto delle ripercussioni che tali
azioni causano ai sistemi produttivi e di conseguenza sui livelli occupazionali
dei Paesi che le dovessero adottare.



È certo che il clima sia mutevole,
negli ultimi decenni la temperatura media a volte è aumentata ed a volte
diminuita, con un aumento medio probabile nell’ultimo secolo di 0,5 gradi
centigradi.



Uno degli obiettivi delle misure
europee in esame è di ridurre del 20% le emissioni dei gas serra,
principalmente di CO2, entro il 2020.



L’aumento della CO2 emessa
dovrebbe contribuire ad un aumento delle temperature ed è possibile che
l’attività dell’uomo sia responsabile di tale situazione, ma la CO2 non è il
maggiore responsabile dell’effetto serra, che è prodotto per ben il 55% da
vapore acqueo, dal 24% dalle nubi, dal 14% dalla CO2 , dal 5% dall’ozono, dal
2% da altri gas.





L’influenza dell’attività
antropica nell’aumento della CO2 è certa, ma il livello di questa influenza
potrebbe essere limitata, in quanto i modelli matematici per la previsione del
clima non riescono a simulare in modo attendibile gli effetti del vapore
acqueo. Le prove geologiche della variabilità del clima si trovano nelle 15 ere
glaciali negli ultimi 2 milioni di anni, in gran parte delle quali l’attività
umana era assente o assolutamente marginale.





La quantità complessiva di gas
serra è inoltre in gran parte di origine naturale, dalle eruzioni vulcaniche ai
processi di fermentazione e decomposizione ampiamente diffusi in natura.
L’atmosfera contiene 3 milioni di megatonnellate di CO2 , l’attività umana ne
immette ogni anno 6.000 megatonnellate che l’applicazione degli impegni di
Kyoto ridurrebbe di poco, a 5.850 megatonnellate.





Riassumendo, se la CO2 rappresenta
solo il 14% dei gas che producono l’effetto serra, se di quel 14% circa il 96%
deriva da processi naturali e solo una parte di circa il 4% è di produzione
antropica e se di quel 4% della parte di produzione di CO2 antropica globale
interveniamo con i nostri sforzi solamente sulla porzione di produzione europea
con una riduzione richiesta del 20% possiamo renderci conto di quanto sia
scarsamente incisivo quello che si intende fare.





Lo stesso assunto su cui si basa
il protocollo di Kyoto è infatti che anche il rispetto completo degli accordi
non porterebbe alcun impatto significativo sul clima.



Pare quindi evidente che, ammesso
esista un sistema riconosciuto in grado di misurare gli eventuali benefici
delle politiche ambientali che si intendono promuovere, l’ottimismo di alcuni
decisori politici verso le misure proposte non trovi un adeguato riscontro dal
punto di vista scientifico, ma nemmeno da quello intuitivo.





Non è corretto inoltre
considerare la CO2 un pericoloso inquinante, dalla fotosintesi infatti dipende
la sopravvivenza degli organismi posti lungo tutte le catene alimentari, uomo
incluso. La CO2 è indispensabile per le piante, ne determina la crescita, la
resistenza alla siccità e la capacità di immagazzinare altra CO2.





Questa impostazione fuorvia
l’attenzione dell’opinione pubblica e delle autorità, sui veri problemi
dell’inquinamento dell’aria, dannosi sia per la salute umana che per l’ambiente
nel suo complesso, quali quelli delle emissioni di micropolveri ed inquinanti
chimici prodotti dai processi di combustione per la produzione di energia, il
riscaldamento domestico e la mobilità, che si depositano sui prodotti agricoli
e che vengono normalmente respirati causando gravi patologie sanitarie.





Una politica ambientale più
concreta dovrebbe puntare maggiormente l’attenzione ed impegnare risorse per
mettere a punto sistemi di produzione di energia elettrica a basso costo e
prive di emissioni nocive, con l’obiettivo di contrastare e ridurre tali
fattori inquinanti certamente dannosi per la salute umana.





Non secondaria è poi l’analisi
delle ripercussioni che le azioni previste dal “pacchetto Clima Energia”
causerebbero ai sistemi produttivi e di conseguenza sui livelli occupazionali
dei Paesi che le adottassero.



Sotto questo profilo è
indispensabile valutare l’impatto che la recente crisi finanziaria sta avendo
sull’economia reale. Senza crescita e con una aumentata difficoltà
nell’accedere al credito, le aziende saranno nell’impossibilità di investire
nell’innovazione necessaria a ridurre le emissioni del 20% e saranno spinte ad
ulteriori delocalizzazioni produttive in Paesi che non aderiscono a questa
scelta unilaterale dell’Europa con il paradossale risultato di danneggiare
un’economia già in difficoltà ed aumentare le emissioni in atmosfera.





La globalizzazione dei mercati
non consente ad economie singole, come quella europea, di sopportare oneri
aggiuntivi per il raggiungimento di obiettivi ambientali più ambiziosi se i
loro diretti competitori, come nel caso dell’Asia e dell’America, non intendono
seguirle su questa strada.



Basti pensare che dal 2005 al
2030 a fronte della riduzione delle emissioni europee proposta, pari circa al
2% , costosa perché applicata ad un sistema produttivo già molto efficiente, in
Cina le emissioni crescerebbero del 123%, in India del 200%, in Usa del 24% ed
in Russia del 33%.



Un contributo, quello europeo,
pressoché simbolico, che – diversamente da quanto indicato dalla Commissione
Europea e dalla Presidenza – non avrà l’effetto di convincere Cina, India,
Brasile, Sud Africa, e USA, ad assumere impegni simili a quelli europei, come
emerge dallo stato del negoziato in preparazione della Conferenza sui
cambiamenti Climatici del 2009 a Copenaghen e dalle recenti riunioni in ambito
G8+5.





Valutazioni indipendenti
calcolano che il costo del “pacchetto”, così come proposto, non sarà inferiore
a 0,70 del PIL dell’Unione, senza considerare che le stime della Commissione
assumono come riferimento uno scenario, ormai non più realistico, che prevede
per l’Europa una crescita del PIL del 2,2%-2,4% e per l’Italia dell’1,2-1,9%
(rispettivamente nei periodi 2000-2010 e 2010- 2020), con prezzi energetici
sostanzialmente costanti compresi tra il 2005 e il 2020 tra 54 e 61 $/barile.





Tali stime sono inconsistenti con
il mutato contesto macroeconomico ed inoltre riducono drasticamente le risorse
a disposizione dei governi e delle imprese per gli investimenti
infrastrutturali necessari a cambiare il sistema energetico europeo, in ogni
caso il costo del pacchetto non è prevedibile, ma è certamente di gran lunga
superiore a quello previsto dalla Commissione Europea.





Infine, va segnalata la
situazione italiana che secondo lo scenario “pessimistico” della Commissione
Europea, porterebbe il nostro Paese a sostenere nel 2020 un costo pari
complessivamente all’1,14% del Pil, a fronte di un impatto UE dello 0,7% del
Pil, con un differenziale a nostro sfavore superiore al 60%.



Tradotto in numeri si tratta di
una cifra variabile tra i 16 ed i 20 miliardi l’anno tra il 2008 ed il 2020 per
un totale di oltre 200 miliardi che peserebbero in modo devastante
sull’economia italiana, a fronte di una riduzione delle emissioni globali non
superiore allo 0,3%.



Come si vede l’Italia dovrebbe
sostenere un costo superiore alla media europea, anche se se il nostro Paese ha
emissioni procapite e “intensità di carbonio” più basse della media europea :
una autentica inversione del principio “chi inquina paga”.





Infine è interessante notare che
il neo eletto Presidente Obama ha chiarito che nei prossimi anni gli USA
saranno molto impegnati nel mercato interno a sostenere la diversificazione
delle fonti energetiche, con un ruolo importante per le fonti rinnovabili, al
fine di sostenere la sicurezza energetica degli USA e ridurre le emissioni,
senza tuttavia prevedere la partecipazione degli USA al Protocollo di Kyoto,
ovvero agli stessi vincoli dell’Unione Europea.



Mentre la Cina ha chiesto ai
paesi “ricchi” di istituire un fondo per le tecnologie pulite a favore delle
economie dei paesi in via di sviluppo, senza assumere alcun impegno ad assumere
obiettivi simili a quelli del pacchetto europeo.





Insomma l’Europa scommetterebbe
al buio, sulla base di presunti mutamenti climatici difficilmente valutabili a
causa dell’incertezza dei modelli matematici che non consentono ancora di
comprendere l’interazione dei fattori fisici in gioco nel determinarli, quali
l’interazione tra oceani ed atmosfera, il ciclo dell’acqua, la formazione delle
nubi e la loro copertura, il rapporto tra vegetazione ed atmosfera ed il ciclo
del carbonio e che ad oggi rappresentano ancora una grande sfida per la scienza
e non certo un punto di arrivo consolidato.





L’Europa ed ancor più l’Italia
metterebbero inoltre a rischio la competitività delle proprie economie senza
avere alcuna certezza sulla partecipazione delle altre economie ad un impegno
globale, anzi con la prospettiva di andare verso uno scenario di penalizzazione
del proprio sistema economico, con conseguente peggioramento occupazionale, una
ulteriore spinta alla delocalizzazione delle produzioni e la beffa di una
crescita vertiginosa delle emissioni globali causate dai Paesi che non
aderiranno a tale scelta.





Alla luce di queste preoccupanti
valutazioni è opportuno che il Governo proponga all’Unione Europea un profondo
riesame, dei tempi e dei contenuti, del “Pacchetto Clima Energia”, tenendo
conto delle mutate condizioni socio economiche maturate nelle ultime settimane
che consigliano di abbandonare la strada delle decisioni unilaterali in tema di
gas serra, puntando invece all’aumento della sicurezza energetica europea, alla
ulteriore riduzione degli inquinanti atmosferici e ad un accordo globale
finalizzato all’aumento dell’efficienza tecnologica ed ambientale dei processi
produttivi nei Paesi attualmente più arretrati da questo punto di vista.






domenica 16 novembre 2008

MISSIVE DEMOCRATICHE CON SOLDI .... VOSTRI

L'amico Fausto Francisca ci parla di comunità montane e comunicazioni democratiche.
E chi mai ha avuto dubbi sul financially-correct del centro-sinistra!

Carissimi,

Ancora una volta dobbiamo prendere esempio di come si amministra .... democraticamente.Tre presidenti di Comunità Montane e, credo un consigliere ( forse),tutti Pd, inviano su carta intestata di Comunità Montana, con relativi protocolli /sic!!!) un invito che vi allego, dove si precisa che" I Democratici, che tanta responsabilità ricoprono oggi nelle Amministrazioni locali del canavese"dovrebbero trovarsi " su un terreno di lotta nelle scelte berlusconiane di attacco alle autonomie locali, in particolare verso I piccoli comuni".

L'utilizzo di strumenti pubblici, da parte di questi amministratori " democratici" dimostra ancora una volta che Berlusconi "vede" dove si può tagliare: proprio verso chi utilizza soldi pubblici per tornaconti di partito (democratico ).

Possiamo capire anche perchè DiPietro si inca..a con i suoi alleati;

Noi di sicuro lo siamo.

Fausto Francisca

N.B. Nonostante tutto continuerò a difendere il ruolo dei Piccoli Comuni e delle Comunità Montane, per fortuna non si sono solo amminitratori " democratici"

I fax della comunicazione finanziata