sabato 29 novembre 2008

DIRITTO ALLO STUDIO - VALORIZZAZIONE MERITO - QUALITA' SISTEMA UNIVERSITARIOt

Conversione in legge del decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180, recante disposizioni urgenti per il diritto allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema universitario e della ricerca. 

Conversione in legge del decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180, recante disposizioni urgenti per il diritto allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema universitario e della ricerca. 

Relazione del Sen. VALDITARA

Credo che una puntualizzazione importante debba essere fatta in occasione della trattazione di questo decreto-legge che contiene misure particolarmente importanti per lo sviluppo ed il futuro dell'università italiana. Credo, cioè, che tutta l'Aula debba essere interessata in modo bipartisan dalla consapevolezza che l'università italiana non è il centro del malaffare. 

L'università italiana, nel bene e nel male, non si distingue da qualsiasi altro settore della vita pubblica italiana. Nelle nostre università, anzi, la qualità dei ricercatori è mediamente superiore rispetto al resto dei Paesi OCSE. Non lo dico io, lo dicono prestigiose riviste scientifiche internazionali, lo dice un'indagine del Ministero dell'educazione nazionale francese, pubblicata su "Le Monde" nel febbraio 2007: per citazioni su riviste scientifiche internazionali, i ricercatori italiani vengono prima dei ricercatori francesi e tedeschi. 

Detto questo, sono innegabili tuttavia alcune criticità. Signor Presidente, chiederei un po' di silenzio per continuare l'intervento. 

Detto questo, sono innegabili alcune criticità: una cattiva gestione delle risorse; sprechi di risorse, peraltro modeste; poca trasparenza; poca competizione; il problema della cosiddetta piramide rovesciata (40.000 professori a fronte di 20.000 ricercatori); un'ingessatura burocratica opprimente; la tendenza a trasformare le università italiane in superlicei dove si fa soprattutto didattica e pochissima ricerca e, devo aggiungere, un eccesso di spesa per un numero sempre più crescente di personale a fronte di una spesa del tutto inadeguata per le infrastrutture della ricerca. Ma soprattutto manca drammaticamente la capacità di trasferire tecnologia alle imprese e di generare promozione sociale. 

Lanostra università - e il nostro sistema di istruzione in generale - è agli ultimi posti tra i Paesi più sviluppati per capacità di far sì che un ragazzo povero che entra nel sistema di istruzione possa uscire con le competenze per accedere alla classe media. È un sistema che configura una cristallizzazione sociale, un sistema che per molti aspetti è rimasto indietro negli anni. Molte delle riforme che oggi ci apprestiamo a varare sono già state affrontate dai principali Paesi europei dalla fine degli anni '90. In Italia, invece, sono state semplicemente abbozzate, in altri casi non sono mai state proposte. 

Voglio anche aggiungere che alcune delle criticità che ho appena esposto sono legate innanzitutto ad un'importante legge (la n. 341 del 1990, la cosiddetta legge Ruberti), che ebbe un merito significativo in quanto introdusse il principio fondamentale dell'autonomia, cui però non coniugò il principio della responsabilità. Poi voglio anche aggiungere la legge 28 febbraio 1998, n. 31, sui concorsi, che è stata, a mio avviso in modo sbagliato, rieditata nel febbraio di quest'anno dal precedente Governo, che con i due idonei, il concorso locale e il membro interno certamente non favorisce quella richiesta di trasparenza che viene dalla società italiana. Voglio infine aggiungere che queste pratiche degenerative, sotto gli occhi di tutti, sono state, soprattutto la moltiplicazione irrazionale dei corsi di laurea, un portato del cosiddetto 3 più 2 che probabilmente andava pensato e andrebbe ripensato in termini leggermente diversi. 

La politica però non è estranea a tutto questo. Quando abbiamo 337 sedi universitarie con una proliferazione di sedi distaccate in ogni piccolo centro (si ricordava che a Narni dove non c'è neanche un liceo ci sono forse 8 corsi di laurea); quando ci sono 5.500 corsi di laurea su materie che hanno una scarsa richiesta da parte del mondo della produzione e anche da parte degli stessi studenti (ben 150 corsi di laurea contano meno di 15 studenti), in tutto questo non è estranea la politica, che spesso e volentieri negli ultimi 15 anni ha difeso, sponsorizzato, sostenuto e talvolta persino imposto l'apertura di cattedrali nel deserto. Occorre dunque procedere ad un risanamento e ad un rilancio del settore. Ebbi a dire che il 2009 dovrà essere dedicato al risanamento e alle riforme strutturali importanti: dal 2010 occorrerà ragionare in termini di rilancio anche con riferimento alle risorse. 

Voglio anche sottolineare che è mancata, a partire dall'inizio degli anni Novanta, una grande visione culturale. Negli ultimi 15-20 anni molte delle riforme sono state troppo spesso effettuate sotto la spinta dell'emergenza, senza un quadro strategico ed è giusto invece avere ben presenti alcuni forti criteri di riferimento. Risanamento e rilancio devono avvenire attraverso l'introduzione dei principi di responsabilità e trasparenza, nonché del principio di merito, all'interno di un sistema fondato sulla competizione tra atenei che abbia due grandi finalità: la promozione sociale degli studenti attraverso una formazione adeguata e la contribuzione allo sviluppo di una innovazione del sistema produttivo. Da qui è partito il Governo, da qui siamo partiti con questo decreto-legge. 

E voglio entrare subito nel vivo della trattazione. Quando abbiamo detto «applichiamo finalmente una legge dello Stato», la cosiddetta legge Berlinguer del 1997, che prevedeva l'obbligo di non superare il 90 per cento nel rapporto tra spese per il personale e fondo di finanziamento ordinario, abbiamo fatto cosa attesa dalla parte sana del mondo universitario e da essa richiesta, perché in nessun Paese al mondo si spende quasi esclusivamente per stipendi e quasi nulla per ricerca e infrastrutture di ricerca. Voglio anche aggiungere che questo 90 per cento è «truccato», perché se avessimo dovuto computare gli scatti di anzianità e quel terzo legato all'attività di assistenza delle facoltà mediche, probabilmente la stragrande maggioranza delle università italiane avrebbe un rapporto pari al 100 per cento o molto simile. 

Bisogna capire che cosa contiene questo fondo di finanziamento: esso è il grande fondo per l'università, quello con cui si finanziano l'acquisto dei libri per le biblioteche, i progetti di ricerca, la luce e il riscaldamento. Capirete allora che se le risorse vengono impiegate soltanto per pagare stipendi, l'università è costretta ad indebitarsi o a chiedere soldi ai privati o ad aumentare le tasse universitarie. È quindi evidente che chi fosse contrario ad una misura di questo tipo si assumerebbe la responsabilità di dire «aumentiamo le tasse», «privatizziamo l'università italiana», «indebitiamo l'università italiana». 

Il provvedimento in esame contiene anche una marcata apertura ai giovani. Innanzitutto, voglio ricordare un punto che nel dibattito politico è quasi scomparso, ma che credo sia particolarmente importante: come dicemmo già dall'inizio della legislatura, occorreva sbloccare le assunzioni per 2.800 ricercatori che sono in attesa di entrare nel mondo della ricerca. Un altro segnale forte contenuto nel decreto-legge è che il 60 per cento del 50 per cento derivante dal turnover, che potrà essere riutilizzato, è destinato all'assunzione di ricercatori, cioè ad assumere giovani, e quindi a rovesciare, cioè a rimettere secondo logica, la famosa piramide. Si tratta di un'operazione che credo rappresenti un obbligo morale cui anche l'attuale opposizione nella passata legislatura aveva cercato, senza riuscirci, di adempiere. Il tutto si coniuga, tra l'altro, con il famoso emendamento presentato a favore dei giovani dottorandi e volto ad aumentare l'entità delle loro borse di studio. 

Vi è quindi un'attenzione ai giovani che conferma l'interesse di questo Governo all'apertura delle università italiane: le borse di studio, le residenze universitarie. Proprio la necessità di promozione sociale, ossia di aprire l'università anche alle fasce sociali svantaggiate, richiede che chi è di condizioni modeste non debba andare a lavorare per potersi mantenere nell'università. Voglio sottolineare che lo stanziamento previsto dal Governo in questo decreto è doppio rispetto a quanto non sia stato stanziato negli ultimi anni, così come per quanto riguarda le residenze universitarie è ben pari al triplo rispetto a quanto stanziato nelle finanziarie delle ultime legislature. 

Se vogliamo che il sistema funzioni, la valutazione dei risultati è strategica. Si fa in Germania, in Spagna, in Inghilterra ed in Francia. Siamo l'ultimo Paese che applica una misura di questo tipo. Le risorse devono andare soprattutto a quelle università che per qualità della ricerca e della didattica sviluppino risultati positivi. Nella scorsa legislatura avevamo già presentato, con numerosi colleghi che siedono in Parlamento, proposte emendative in questa direzione. Sono altrettanto compiaciuto che la Commissione abbia approvato oggi l'introduzione dell'anagrafe delle pubblicazioni scientifiche che consente di certificare con grande chiarezza le pubblicazioni di professori e ricercatori, di avere un quadro chiaro. Sono particolarmente soddisfatto per il fatto che si introduce una autentica rivoluzione e che d'ora in poi gli scatti automatici di stipendio non verranno più liquidati automaticamente, ma saranno condizionati alla pubblicazione scientifica nell'ultimo biennio.

Sono anche soddisfatto perché nelle Commissioni giudicatrici entrerà soltanto chi negli ultimi anni ha effettuato pubblicazioni scientifiche. È assurdo che un professore possa giudicare altri senza aver mai pubblicato nulla. Credo che questa sia una iniziativa fondamentale per dare concretezza e serietà. 

Sono inoltre particolarmente soddisfatto che le università ed i rettori, in sede di bilancio consuntivo, abbiano l'obbligo di dire con grande trasparenza che cosa hanno fatto con i soldi pubblici, mostrando i risultati dell'attività di ricerca, di formazione, di trasferimento tecnologico, con emendamenti presentati dal relatore in Commissione, condivisi dal Capogruppo della maggioranza, passati questa mattina con mio personale compiacimento. 

Vi è poi la norma sul rientro dei cervelli, anch'essa largamente attesa, e la norma sui concorsi. Personalmente ho una predilezione per la legge Moratti che, depurata di quelle famose quote, è per me ottima, ma mi rendo conto che il Governo ha ritenuto che essa avrebbe comportato una dilazione dei termini concorsuali, inaccettabile forse per un sistema bloccato da quasi tre anni. 

Si introduce quindi il meccanismo del sorteggio. Non credo nell'effetto taumaturgico del sorteggio. Credo, invece, che il sorteggio abbinato all'elezione possa essere un segno di moralizzazione efficace. È un segnale e, in quanto tale, senz'altro positivo. Ovviamente la vera riforma dovrà essere fatta in un confronto ampio con il mondo universitario, con l'opposizione; a mio avviso, una riforma dovrà necessariamente passare da una lista di idonei a numero chiuso, entro cui sviluppare una chiamata diretta. 

Voglio anche aggiungere, elemento mai sottolineato, che è necessario ridurre i settori scientifico-disciplinari perché è evidente che con quattro o cinque professori la trasparenza viene a mancare. Certamente, de iure condendo, che è fondamentale la riforma della governance, l'applicazione di questo sistema di valutazione, il rilancio del dottorato ed anche - consentitemi di aggiungere - i contratti individuali sul modello tedesco, anche qui sviluppando quello che oggi già facciamo in questo decreto, pagando di più i professori che lo meritano. 

Voglio evidenziare un ultimo aspetto: il mondo universitario nelle audizioni si è espresso in modo favorevole sul decreto. Voglio ricordare le parole del presidente della CRUI Decleva, del presidente Lenzi, le aperture importanti del presidente Morcellini, a nome di tutti i presidi delle università italiane. È stato sottolineato il segnale di svolta e mi compiace dire che per la prima volta un settore interessato ad una riforma anche pesante, che comporterà dei costi per qualcuno, dà il suo sostanziale appoggio. Credo che sia un segnale molto importante. Mi auguro che anche altri settori della vita pubblica italiana sappiano fare altrettanto, come sta facendo la parte più consapevole e rappresentativa dell'università italiana che sta collaborando ad un rilancio del nostro sistema e a far sì che finalmente anche il nostro mondo universitario possa essere al pari degli altri sistemi più avanzati e che possa contribuire a creare sviluppo, benessere e crescita complessiva per il nostro Paese.


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