giovedì 20 novembre 2008

IL PACCHETTO CLIMA EU

IL PACCHETTO CLIMA-ENERGIA

Il 23 gennaio 2008 la Commissione

europea ha adottato un pacchetto di proposte volto a dare attuazione agli
impegni assunti dal Consiglio europeo in materia di lotta ai cambiamenti
climatici e di promozione delle energie rinnovabili. Le misure previste mirano
ad accrescere significativamente il ricorso alle fonti energetiche rinnovabili
e ad imporre ai governi europei obiettivi giuridicamente vincolanti.

Una profonda riforma del sistema

di scambio delle quote di emissione, imporrà un tetto massimo alle emissioni a
livello comunitario. Il pacchetto di proposte in esame intende, infatti,
consentire all’Unione europea di ridurre di almeno il 20 per cento le emissioni
di gas serra e di elevare al 20 per cento la quota di energie rinnovabili entro
il 2020, secondo quanto deciso dai capi di Stato e di governo europei in
occasione del Consiglio europeo del marzo 2007. La riduzione delle emissioni
dovrebbe essere elevata al 30 per cento entro il 2020 con la sigla di un nuovo
accordo internazionale sui cambiamenti climatici.



Il pacchetto clima-energia

comprende una serie di iniziative politiche strettamente interconnesse che di
seguito si illustrano e commentano.





La Proposta di modifica della
direttiva 2003/87/CE sul sistema comunitario di scambio delle quote di
emissione (ETS) (COM (08)16 def.) prevede che, a partire dal 2013, il sistema
ETS sia applicato a un numero maggiore di gas serra (attualmente lo scambio
delle quote riguarda solo l’anidride carbonica) e riguarderà tutti gli impianti
industriali responsabili delle emissioni. Sulla base del vigente sistema di
scambio delle quote di emissioni fondato su un tetto massimo di emissioni e
sullo scambio delle quote (cap-and-trade), la Commissione propone di rafforzare
il mercato unico del carbonio a livello comunitario, che si estenderà a un
numero maggiore di gas serra e riguarderà tutti i grandi impianti industriali
responsabili delle emissioni. Le quote di emissione poste sul mercato saranno
ridotte, con cadenza annuale, in modo da permettere una riduzione delle
emissioni del 20 per cento nel 2020, rispetto ai livelli del 2005.





La Proposta di decisione del
Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla ripartizione degli sforzi da
intraprendere per adempiere all’impegno comunitario a ridurre unilateralmente
le emissioni di gas serra in settori non rientranti nel sistema comunitario di
scambio delle quote di emissione (COM (08) 17 def.) mira a quantificare il
contributo della riduzione di tali emissioni al fine di conseguire l’obiettivo
generale dell’Unione europea.



In settori non rientranti nel
sistema di scambio delle quote, come l’edilizia, i trasporti, l’agricoltura e i
rifiuti, l’Unione europea dovrà ridurre le emissioni del 10 per cento rispetto
ai livelli del 2005, entro il 2020. Per ciascuno Stato membro la Commissione
propone un obiettivo specifico di riduzione delle emissioni in parola da
conseguire entro il 2020 (quello assegnato all’Italia è del 13 per cento in
meno). Nel caso dei nuovi Stati membri gli obiettivi prevedono addirittura la
possibilità di un aumento delle emissioni. Tali variazioni oscillano tra un
meno 20 per cento e un più 20 per cento.





La Proposta di direttiva del
Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione delle energie rinnovabili
(COM (08) 19 def.) mira a conseguire sia gli obiettivi di riduzione delle
emissioni rientranti nel sistema ETS, sia gli obiettivi che in tale sistema non
rientrano.



Oggi la quota di energie
rinnovabili sul consumo energetico finale dell’Unione Europea, pari all’8,5 per
cento, rende necessario un aumento dell’11,5 per cento per raggiungere
l’obiettivo del 20 per cento previsto per il 2020.



A tal fine, la Commissione ha
fissato obiettivi giuridicamente vincolanti per ciascuno degli Stati membri.



La proposta di direttiva mira a
fissare un obiettivo generale obbligatorio del 20 per cento per la quota di
energia da fonti rinnovabili sul consumo energetico e un obiettivo minimo
obbligatorio del 10 per cento per la quota di biocarburanti nei trasporti che
ogni Stato membro dovrà conseguire, nonché obiettivi nazionali obbligatori per
il 2020, in linea con l'obiettivo generale dell'Unione europea del 20 per
cento.





La Proposta di direttiva del
Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla disciplina giuridica della
cattura e dello stoccaggio del carbonio (COM (08) 18 def.) è accompagnata da
una Comunicazione della Commissione dal titolo “Promuovere la dimostrazione in
tempi brevi della produzione sostenibile di energia da combustibili fossili”.



La proposta di direttiva mira a
definire norme armonizzate per lo stoccaggio in sicurezza di anidride carbonica
in formazioni geologiche e disciplina le diverse fasi di questa attività.



La Comunicazione della
Commissione illustra invece i vantaggi derivanti dalle tecnologie di cattura e
stoccaggio dell’anidride carbonica (CCS), delineando le strategie organizzative
e finanziarie finalizzate a superare gli ostacoli che si frappongono
all’utilizzo delle tecnologie CCS.





Infine, con la Comunicazione “Due
volte 20 per il 2020. L’opportunità del cambiamento climatico per l’Europa”, la
Commissione prefigura gli obiettivi in termini di emissioni da raggiungere
entro il 2050, attraverso l’aggiornamento del sistema di scambio delle
emissioni, la riduzione dei gas ad effetto serra al di fuori del sistema di
scambio di emissioni, l’incremento nell’impiego delle energie rinnovabili ed il
miglioramento dell'efficienza energetica.





Una serie di misure così
impegnative per gli Stati e per i loro sistemi produttivi devono basarsi su
valutazioni scientifiche certe e tener conto delle ripercussioni che tali
azioni causano ai sistemi produttivi e di conseguenza sui livelli occupazionali
dei Paesi che le dovessero adottare.



È certo che il clima sia mutevole,
negli ultimi decenni la temperatura media a volte è aumentata ed a volte
diminuita, con un aumento medio probabile nell’ultimo secolo di 0,5 gradi
centigradi.



Uno degli obiettivi delle misure
europee in esame è di ridurre del 20% le emissioni dei gas serra,
principalmente di CO2, entro il 2020.



L’aumento della CO2 emessa
dovrebbe contribuire ad un aumento delle temperature ed è possibile che
l’attività dell’uomo sia responsabile di tale situazione, ma la CO2 non è il
maggiore responsabile dell’effetto serra, che è prodotto per ben il 55% da
vapore acqueo, dal 24% dalle nubi, dal 14% dalla CO2 , dal 5% dall’ozono, dal
2% da altri gas.





L’influenza dell’attività
antropica nell’aumento della CO2 è certa, ma il livello di questa influenza
potrebbe essere limitata, in quanto i modelli matematici per la previsione del
clima non riescono a simulare in modo attendibile gli effetti del vapore
acqueo. Le prove geologiche della variabilità del clima si trovano nelle 15 ere
glaciali negli ultimi 2 milioni di anni, in gran parte delle quali l’attività
umana era assente o assolutamente marginale.





La quantità complessiva di gas
serra è inoltre in gran parte di origine naturale, dalle eruzioni vulcaniche ai
processi di fermentazione e decomposizione ampiamente diffusi in natura.
L’atmosfera contiene 3 milioni di megatonnellate di CO2 , l’attività umana ne
immette ogni anno 6.000 megatonnellate che l’applicazione degli impegni di
Kyoto ridurrebbe di poco, a 5.850 megatonnellate.





Riassumendo, se la CO2 rappresenta
solo il 14% dei gas che producono l’effetto serra, se di quel 14% circa il 96%
deriva da processi naturali e solo una parte di circa il 4% è di produzione
antropica e se di quel 4% della parte di produzione di CO2 antropica globale
interveniamo con i nostri sforzi solamente sulla porzione di produzione europea
con una riduzione richiesta del 20% possiamo renderci conto di quanto sia
scarsamente incisivo quello che si intende fare.





Lo stesso assunto su cui si basa
il protocollo di Kyoto è infatti che anche il rispetto completo degli accordi
non porterebbe alcun impatto significativo sul clima.



Pare quindi evidente che, ammesso
esista un sistema riconosciuto in grado di misurare gli eventuali benefici
delle politiche ambientali che si intendono promuovere, l’ottimismo di alcuni
decisori politici verso le misure proposte non trovi un adeguato riscontro dal
punto di vista scientifico, ma nemmeno da quello intuitivo.





Non è corretto inoltre
considerare la CO2 un pericoloso inquinante, dalla fotosintesi infatti dipende
la sopravvivenza degli organismi posti lungo tutte le catene alimentari, uomo
incluso. La CO2 è indispensabile per le piante, ne determina la crescita, la
resistenza alla siccità e la capacità di immagazzinare altra CO2.





Questa impostazione fuorvia
l’attenzione dell’opinione pubblica e delle autorità, sui veri problemi
dell’inquinamento dell’aria, dannosi sia per la salute umana che per l’ambiente
nel suo complesso, quali quelli delle emissioni di micropolveri ed inquinanti
chimici prodotti dai processi di combustione per la produzione di energia, il
riscaldamento domestico e la mobilità, che si depositano sui prodotti agricoli
e che vengono normalmente respirati causando gravi patologie sanitarie.





Una politica ambientale più
concreta dovrebbe puntare maggiormente l’attenzione ed impegnare risorse per
mettere a punto sistemi di produzione di energia elettrica a basso costo e
prive di emissioni nocive, con l’obiettivo di contrastare e ridurre tali
fattori inquinanti certamente dannosi per la salute umana.





Non secondaria è poi l’analisi
delle ripercussioni che le azioni previste dal “pacchetto Clima Energia”
causerebbero ai sistemi produttivi e di conseguenza sui livelli occupazionali
dei Paesi che le adottassero.



Sotto questo profilo è
indispensabile valutare l’impatto che la recente crisi finanziaria sta avendo
sull’economia reale. Senza crescita e con una aumentata difficoltà
nell’accedere al credito, le aziende saranno nell’impossibilità di investire
nell’innovazione necessaria a ridurre le emissioni del 20% e saranno spinte ad
ulteriori delocalizzazioni produttive in Paesi che non aderiscono a questa
scelta unilaterale dell’Europa con il paradossale risultato di danneggiare
un’economia già in difficoltà ed aumentare le emissioni in atmosfera.





La globalizzazione dei mercati
non consente ad economie singole, come quella europea, di sopportare oneri
aggiuntivi per il raggiungimento di obiettivi ambientali più ambiziosi se i
loro diretti competitori, come nel caso dell’Asia e dell’America, non intendono
seguirle su questa strada.



Basti pensare che dal 2005 al
2030 a fronte della riduzione delle emissioni europee proposta, pari circa al
2% , costosa perché applicata ad un sistema produttivo già molto efficiente, in
Cina le emissioni crescerebbero del 123%, in India del 200%, in Usa del 24% ed
in Russia del 33%.



Un contributo, quello europeo,
pressoché simbolico, che – diversamente da quanto indicato dalla Commissione
Europea e dalla Presidenza – non avrà l’effetto di convincere Cina, India,
Brasile, Sud Africa, e USA, ad assumere impegni simili a quelli europei, come
emerge dallo stato del negoziato in preparazione della Conferenza sui
cambiamenti Climatici del 2009 a Copenaghen e dalle recenti riunioni in ambito
G8+5.





Valutazioni indipendenti
calcolano che il costo del “pacchetto”, così come proposto, non sarà inferiore
a 0,70 del PIL dell’Unione, senza considerare che le stime della Commissione
assumono come riferimento uno scenario, ormai non più realistico, che prevede
per l’Europa una crescita del PIL del 2,2%-2,4% e per l’Italia dell’1,2-1,9%
(rispettivamente nei periodi 2000-2010 e 2010- 2020), con prezzi energetici
sostanzialmente costanti compresi tra il 2005 e il 2020 tra 54 e 61 $/barile.





Tali stime sono inconsistenti con
il mutato contesto macroeconomico ed inoltre riducono drasticamente le risorse
a disposizione dei governi e delle imprese per gli investimenti
infrastrutturali necessari a cambiare il sistema energetico europeo, in ogni
caso il costo del pacchetto non è prevedibile, ma è certamente di gran lunga
superiore a quello previsto dalla Commissione Europea.





Infine, va segnalata la
situazione italiana che secondo lo scenario “pessimistico” della Commissione
Europea, porterebbe il nostro Paese a sostenere nel 2020 un costo pari
complessivamente all’1,14% del Pil, a fronte di un impatto UE dello 0,7% del
Pil, con un differenziale a nostro sfavore superiore al 60%.



Tradotto in numeri si tratta di
una cifra variabile tra i 16 ed i 20 miliardi l’anno tra il 2008 ed il 2020 per
un totale di oltre 200 miliardi che peserebbero in modo devastante
sull’economia italiana, a fronte di una riduzione delle emissioni globali non
superiore allo 0,3%.



Come si vede l’Italia dovrebbe
sostenere un costo superiore alla media europea, anche se se il nostro Paese ha
emissioni procapite e “intensità di carbonio” più basse della media europea :
una autentica inversione del principio “chi inquina paga”.





Infine è interessante notare che
il neo eletto Presidente Obama ha chiarito che nei prossimi anni gli USA
saranno molto impegnati nel mercato interno a sostenere la diversificazione
delle fonti energetiche, con un ruolo importante per le fonti rinnovabili, al
fine di sostenere la sicurezza energetica degli USA e ridurre le emissioni,
senza tuttavia prevedere la partecipazione degli USA al Protocollo di Kyoto,
ovvero agli stessi vincoli dell’Unione Europea.



Mentre la Cina ha chiesto ai
paesi “ricchi” di istituire un fondo per le tecnologie pulite a favore delle
economie dei paesi in via di sviluppo, senza assumere alcun impegno ad assumere
obiettivi simili a quelli del pacchetto europeo.





Insomma l’Europa scommetterebbe
al buio, sulla base di presunti mutamenti climatici difficilmente valutabili a
causa dell’incertezza dei modelli matematici che non consentono ancora di
comprendere l’interazione dei fattori fisici in gioco nel determinarli, quali
l’interazione tra oceani ed atmosfera, il ciclo dell’acqua, la formazione delle
nubi e la loro copertura, il rapporto tra vegetazione ed atmosfera ed il ciclo
del carbonio e che ad oggi rappresentano ancora una grande sfida per la scienza
e non certo un punto di arrivo consolidato.





L’Europa ed ancor più l’Italia
metterebbero inoltre a rischio la competitività delle proprie economie senza
avere alcuna certezza sulla partecipazione delle altre economie ad un impegno
globale, anzi con la prospettiva di andare verso uno scenario di penalizzazione
del proprio sistema economico, con conseguente peggioramento occupazionale, una
ulteriore spinta alla delocalizzazione delle produzioni e la beffa di una
crescita vertiginosa delle emissioni globali causate dai Paesi che non
aderiranno a tale scelta.





Alla luce di queste preoccupanti
valutazioni è opportuno che il Governo proponga all’Unione Europea un profondo
riesame, dei tempi e dei contenuti, del “Pacchetto Clima Energia”, tenendo
conto delle mutate condizioni socio economiche maturate nelle ultime settimane
che consigliano di abbandonare la strada delle decisioni unilaterali in tema di
gas serra, puntando invece all’aumento della sicurezza energetica europea, alla
ulteriore riduzione degli inquinanti atmosferici e ad un accordo globale
finalizzato all’aumento dell’efficienza tecnologica ed ambientale dei processi
produttivi nei Paesi attualmente più arretrati da questo punto di vista.






Nessun commento: